Violenza insensata

Violenza insensata

Domenica sera abbiamo dovuto apprendere che un manipolo di imbecilli ha provocato una morte dopo un incontro di basket, tendendo un’imboscata a un autobus di tifosi che rientravano a casa.

Non si tratta di episodi nuovi, ma dimostrano la degenerazione crescente nella nostra società.

La reazione spontanea è quella della rabbia e dello sconforto, ma sarebbe più giusto esaminare con attenzione il significato di questi atti di violenza gratuita e insensata.

La violenza si manifesta durante le manifestazioni politiche, nei cortei operai e nelle proteste studentesche, ma è presente anche nei rapporti di genere.

La politica populista pensa di risolvere il problema inventando nuove regole da inserire nel codice penale, con pene sempre più severe, ma con l’unico risultato di appesantire la situazione delle carceri e il lavoro delle forze dell’ordine.

Sarebbe invece necessaria una seria analisi sociale per portare alla luce le criticità presenti nella nostra società civile.

L’aumento della povertà, la mancanza di servizi efficienti e la crisi delle famiglie sono una miccia sempre accesa. Non giustificano la violenza, ma la rendono un fenomeno sociale che richiederebbe risposte forti e strutturate. Non voglio affatto giustificare gli imbecilli o i delinquenti, ma ritengo che le risposte dovrebbero dimostrare la forza dello Stato.

Serve una società più giusta, più efficiente e una rete di servizi riconoscibile e funzionante.

Spesso, dopo episodi di violenza, si assiste a dichiarazioni di circostanza, ma dopo pochi giorni tutto viene dimenticato e non si sa più nulla delle conseguenze, né per chi ha commesso i fatti né per chi li ha subiti.

Siamo di fronte a una crisi delle relazioni interpersonali, che parte dalla crisi della famiglia e dalla mancanza di centri educativi e formativi.

Un tempo, nel nostro Paese, c’era chi si occupava della formazione e dell’aggregazione sociale. Oggi, le poche realtà che lo fanno faticano a svolgere il loro ruolo, oppresse dalla burocrazia e dall’insensibilità di chi, per funzione, dovrebbe occuparsene.

Si pensa soprattutto alle questioni formali e all’apparenza, trascurando la sostanza delle azioni.

Cosa fare?

Bisognerebbe agevolare l’azione delle amministrazioni locali, rendendo le norme più chiare e semplici, eliminando burocrazie e lacciuoli spesso inestricabili.

Occorre dialogare con le organizzazioni private che cercano di fornire risposte e che fanno sempre più fatica a sopravvivere.

Non è solo una questione di fondi: è soprattutto un problema di organizzazione, nato dalle regole imposte dallo Stato nel tentativo di strutturare le reti sociali.

Il Codice del Terzo Settore è, in realtà, un concentrato di regole spesso incomprensibili e limitanti.

Si assiste a decisioni che non esito a definire propagandistiche, come il Codice Rosso, la legge sulla sicurezza o il divieto dei cellulari in classe.

Norme “spot” che, come dimostrano i fatti degli ultimi giorni, non risolvono il problema, ma spesso lo aggravano.

Si investe poco nella cultura, nella ricerca e sempre meno nei servizi sociali.

In questi settori, risparmiare oggi significa spendere molto di più domani.

Servirebbe una rete strutturata di servizi sociali efficiente, una presenza diffusa di psicologi e una scuola che torni a fare la scuola, mentre oggi è troppo spesso solo un progettificio.

Indigniamoci pure, denunciamo e puniamo chi delinque, anche se imbecille, ma non continuiamo a gettare benzina sul fuoco.