Storia magistra vitae

Storia magistra vitae

di Giuseppe (Pippo) Terranova

Il dibattito sulla struttura del corpo associativo e sulla funzione del comitato “Rinascita Uici” riporta alle origini della Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti: una storia tutta costruita su un impegno di lotte per liberare le persone non vedenti ed ipovedenti italiane dall’isolamento, dall’analfabetismo, dalla disoccupazione e, in definitiva, dalla emarginazione e dalla ingiustizia sociale.

Si tratta di una storia davvero speciale di migliaia e migliaia di Donne ed Uomini che il 26 ottobre del 1920, sotto la bandiera della nostra gloriosa Associazione, decisero di rompere le catene dello svantaggio, del pregiudizio e della discriminazione, per puntare con fede e coraggio alla conquista dei diritti civili, sociali e politici.

Così, la nostra storia svela che i ciechi e gli ipovedenti italiani hanno vissuto ed affrontato non una sola, ma due “Lotte di Liberazione”. In particolare, in quella associativa è stato necessario, da una parte, conferire all’iniziativa una forte motivazione ideale e morale, dall’altra, uniformare questa ad una lucida strategia di mobilitazione della coscienza nazionale, dovendone proporzionare l’incidenza all’importanza dell’obiettivo, scaturente dalla legittimità e dalla irrinunciabilità delle istanze.

L’attività sviluppata ha innescato un interessante processo che, in modo determinante, ha contribuito a rivoluzionare progressivamente sia il concetto sociologico di “disabilità”, sia l’impostazione relazionale tra il sistema istituzionale e la persona con disabilità, nonché i rapporti tra quest’ultima, la società ed i suoi singoli membri.

Prende, così consistenza quello che può definirsi il nostro “rinascimento morale”, caratterizzato da un “cammino” lungo, lento, faticoso, ma fecondo, decisamente orientato verso la piena “dignità sociale”.

I risultati salienti di questo percorso di integrazione si possono cogliere: nel diritto all’istruzione (esercitato negli istituti per ciechi e nella scuola pubblica comune: primo esempio di inclusione scolastica, realizzato nel 1924 e non, come si ritiene, nel 1977, con la legge 517); nel diritto all’esercizio della “capacità di agire” (codice civile 1942); nel diritto “al lavoro” e alla “sicurezza sociale” (pensioni, indennità, ecc). Tali successi poggiano:

a) sulla oggettiva e forte valenza delle rivendicazioni;

b) sull’autorevolezza ed efficacia del ruolo, svolto, appunto in passato dall’Uici. Essa, infatti, si è conquistata la posizione e la qualifica di prestigioso soggetto socio-politico e di competente interlocutore sulla complessa ed articolata realtà della “cecità”, tanto da acquisire anche finanziamenti pubblici a sostegno della propria attività e di servizi, rivolti a tutti i “soggetti con disabilità visiva”, iscritti o no alla Uici;

c) sulla capacità dell’Uici di aver elevato la “cecità” con le problematiche ad essa correlate al rilevante rango di “questione sociale”, cioè ad “interesse” meritevole sia di tutela da parte dello Stato, sia di considerazione attiva da parte della comunità nazionale, di guisa che l’intero sistema socio-istituzionale potesse ritenersi corresponsabile con l’Uici nella ricerca delle soluzioni più idonee e delle garanzie più efficaci, atte ad assicurare la migliore inclusione sociale.

Ne discende che l’Uici non può essere una realtà chiusa e ghettizzata, cioè staccata dal contesto sociale; al contrario, essa deve esibire un profilo di soggetto aperto e connesso con il contesto in cui opera, considerato soprattutto che il suo assetto è strutturato nell’ordinamento giuridico italiano.

Dunque, risulta ancor più chiaro:

1) che le persone non vedenti ed ipovedenti sono, innanzitutto, cittadini, prima di qualificarsi per la loro condizione fisica: la disabilità visiva;

2) che l’Uici è una realtà giuridica, anch’essa prioritariamente sottoposta all’osservanza delle leggi dello Stato, ancorché disciplinata da norme statutarie, regolamentari, ecc. Inoltre, il dibattito sul quesito se accogliere nel comitato “Rinascita Uici” tutte le persone non vedenti ed ipovedenti, o costoro e le persone vedenti, ovvero soltanto gli iscritti alla Uici ricorda il tempo in cui si discettava se dell’associazione dovessero far parte solo i “ciechi assoluti” o anche coloro che erano in possesso di residuo visivo. Si convenne, allora, di ammettere entrambe le categorie e di attribuire all’Uici la rappresentanza di tutti: non vedenti ed ipovedenti con residuo visivo fino a un decimo, poi elevato a 3 decimi. La scelta trovò conferma nelle leggi che obbligavano l’Uici ad assicurare i propri servizi a tutte le persone con disabilità visiva.

L’intrinseco nesso tra “l’ordinamento giuridico” e le norme regolatrici delle attività e dei rapporti interni all’Uici, evidenzia inequivocabilmente la supremazia dell’ordinamento giuridico, da cui discende anche il potere di controllo della pubblica amministrazione su tutti i soggetti sottoposti.

Nel predetto quadro valutativo rientra, ovviamente, anche il vincolo giuridico che lega gli associati all’Uici, fondato “esclusivamente” su un libero atto di adesione, giustificato soltanto dalla condizione fisica: la disabilità visiva e non già su una fede di natura politica, religiosa o altro.

Dunque, ad esempio, i provvedimenti sanzionatori, cui si è fatto frequente ricorso nell’ultimo decennio, andavano adottati sì nel rigoroso rispetto delle regole interne, ma soprattutto, nella più doverosa e scrupolosa osservanza dei principi dell’ordinamento giuridico italiano.

Così, ad esempio, il provvedimento sanzionatorio della “sospensione” appare più compatibile con la natura del “vincolo associativo”, rispetto alla “espulsione”; tuttavia, al provvedimento sanzionatorio l’Uici deve ricorrere eccezionalmente e con grande senso di responsabilità, atteso che la “sospensione” priva comunque e sempre l’individuo colpito di facoltà giuridicamente rilevanti e tutelate.

Dunque, pur riconoscendosi alla predetta sanzione il carattere intrinseco dell’“esemplarità”, essa deve sottostare ad almeno tre inderogabili condizioni:

1) garantire all’interessato “il godimento dei diritti associativi” con l’erogazione di tutti i servizi, in quanto la “sospensione” può riguardare soltanto l’esercizio di facoltà;

2) contenerne gli effetti in un arco temporale quanto più limitato possibile;

3) applicarsi solo nei casi di apprezzabile gravità, correlati a condotte associative adeguatamente disciplinate e sostenute da documentazione probatoria, equipollente a quella ritenuta valida nel diritto processuale, nonché oggettivamente in contrasto sia con le norme statutarie e regolamentari, sia soprattutto, con i principi dell’ordinamento giuridico italiano; e ciò a motivo dei gravi effetti inevitabilmente ricadenti in capo al destinatario del provvedimento sanzionatorio.

Alla luce di quanto sopra, appare incomprensibile la tesi che le persone non vedenti ed ipovedenti non iscritte all’Uici, debbano considerarsi estranee sia alla vita dell’associazione, sia all’attività del comitato; al tempo stesso, ingiusta sembra pure la tesi che se ne debba negare la partecipazione alle persone vedenti. Al riguardo, infatti, si osserva che tante persone vedenti hanno prestato e prestano, con “spirito di servizio”, la propria opera in diversi organi collegiali associativi e di strutture collaterali alla Uici, senza dimenticare che la predetta presenza, sovente e addirittura, prevista dalle stesse leggi, in ciò trovando ulteriore conferma l’interesse e la corresponsabilità dello Stato nella trattazione e gestione delle problematiche riguardanti la “cecità”, in quanto, come si è detto, considerata “questione sociale”.

Parimenti, va tenuto in considerazione la presenza di tante persone vedenti negli organici del personale delle strutture territoriali e della stessa sede centrale dell’Uici, nonché di quelle collaterali ad essa. Va precisato ancora che la suddetta presenza si è sempre mantenuta su livelli alti, fino alla quasi totale copertura degli organici. Pertanto, escludere ora la partecipazione delle persone vedenti, francamente, sembra incomprensibile e, soprattutto, ingiusto, atteso anche che la nuova normativa, riguardante il “terzo settore”, addirittura, la prevede nella stessa struttura del corpo associativo. In merito si tenga bene a mente che proprio quest’ultima argomentazione è stata assunta a motivo determinante della convocazione del congresso straordinario del sodalizio nel 2023. Comparando le due realtà: la storica Uici e il comitato “Rinascita Uici” sembra pacifico potersi ritenere che le valutazioni svolte sul conto dell’Uici siano agevolmente traslabili al comitato, naturalmente, con qualche distinguo e adattamento.

D’altra parte, sarebbe oltre che inspiegabile ed ingiusto, anche inopportuno escludere dal comitato le persone vedenti, soprattutto, adesso, in costanza di un obiettivo di così rilevante importanza, qual è il ripristino nell’Uici di tutte le condizioni di agibilità democratica.  Le considerazioni svolte, unitamente ai riferimenti riportati, costituiscono una ulteriore conferma dell’essenziale ed insostituibile funzione da sempre riconosciuta alla Storia e cioè quella di “magistra vitae”, poiché insegna che attingere alla ricchezza di pensiero e di esperienza del passato rappresenta sempre una imprescindibile necessità dello spirito; aiuta a vivere e a gestire al meglio la realtà; aiuta a comprendere di più i fenomeni umani e naturali che attraversano il tempo; aiuta, soprattutto, ad impostare proficuamente il futuro dei giovani; mentre il monito che da essa ci proviene è che, attingendo alla Storia si possono evitare errori, talora anche fatali.