LA SCELTA “SOCIALE” DI PAPA LEONE XIV. UNA SCELTA ESEMPLARE SU CUI RIFLETTERE

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LA SCELTA “SOCIALE” DI PAPA LEONE XIV. UNA SCELTA ESEMPLARE SU CUI RIFLETTERE

Commento di Massimo VIta:

L’amico Giuseppe Lumia in questa lettera ci propone uno sguardo sul momento che vive la Chiesa Cattolica e in ultima analisi il nostro mondo, le nostre comunita e le nostre vite.,
La questione sociale torna al centro dell’analisi e a mio modesto avviso, l’anno giubilare in questo ultimo tratto di strada, con il nuovo papa, dovrà compiere riflessioni importanti che, fino ad oggi, non sembrano innervare le scelte che il clero compie quotidianamente. Non si sta svolgendo una riflessione seeria sui diritti civili, sulla partecipazione delle donne nella Chiesa e sembra che, ancora una volta emerga il bisogno di realizzare fino in fondo il concilio vaticano secondo.
Penso che si renderebbe utile un nuovo concilio perché l’evoluzione è tale da comportare nuove riflessioni e spero nuovi metodi di approccio alla realtà. Le Chiese o le fedi sono in crisi profonda e dovranno scegliere strade nuove guardando al messaggio del Crocefisso in modo più concreto e quindi meglio calato nella realtà degli esseri umani e anche di tutto il creato.

Dialoghi, Lettera del 24 giugno 2025 di Giuseppe Lumia

LA SCELTA “SOCIALE” DI PAPA LEONE XIV. UNA SCELTA ESEMPLARE SU CUI RIFLETTERE

Cara Silvia, mi hai sollecitato più volte a riflettere sulla “scelta sociale” del nuovo Papa, su quale significato attribuirle dal punto di vista del cammino della Chiesa, sul valore da cogliere per i risvolti spirituali e di fede e sul carattere esemplare che assume per il contesto mondiale, almeno quello più attento al bisogno di cambiamento in questo tragico momento storico.

In effetti si discute molto sull’impronta che il nuovo Papa vuole dare al suo pontificato proprio in relazione alla dimensione del pensare e agire sociale.

Intanto, Silvia, il nome con cui si è presentato al mondo ha chiarito molto dell’indirizzo che intende seguire. Lo sta man mano ribadendo, in modo che non ci sia il classico gioco ad arzigogolare interpretazioni e a proporre letture forzate.

Per Papa Leone XIV, la “questione sociale” sotto la sua guida è centrale: dobbiamo considerarla come il luogo principale del sentire teologico e dell’impegno pastorale del nuovo cammino della Chiesa.

C’è da riflettere, allora, per i credenti e i non credenti sul perché la questione sociale è il luogo vitale non solo per la Chiesa ma, a ben pensarci, per tutti i soggetti della società civile organizzata: è la via maestra per rigenerare, ad esempio, qualsiasi altra comunità religiosa, così pure il Volontariato e anche tutti i vari soggetti sociali e gli stessi partiti politici e sindacali, almeno nel così critico contesto europeo e occidentale.

Ma sai, Silvia, per la Chiesa il “sociale” non è il contesto per fare del bene tatticamente, finalizzato al proselitismo, oppure per recuperare visibilità, credibilità e consenso. Il “sociale” è invece lo spazio e il tempo fondamentale in cui si vive e si nutre la fede in Dio. Nelle pagine del Vangelo si trova chiaramente tale rilievo, diremmo prosaicamente, ontologico: “Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi. Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti? Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico, ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. Ecco, in modo molto chiaro, dove poter incontrare il Dio del “già e non ancora”!

Il sociale non deve essere nemmeno il luogo dell’assistenzialismo, potremmo dire di una “carità pelosa”. È, al contrario, un dovere esigente come è sancito nella nostra Costituzione Repubblicana all’art. 3, secondo comma: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana […]”. Il sociale è per tutti una sfida liberante e generatrice di senso, di uguaglianza e di cambiamenti nei linguaggi, nelle relazioni, nell’economia e nella politica di tipo sostanziale.

Sai, Silvia, per capire meglio, torniamo indietro nella storia della Chiesa, alla lontana elezione di Leone XIII a vescovo di Roma e Papa, eseguita dal Conclave del 20 febbraio 1878. Egli esercitò il suo ruolo fino alla sua morte, il 20 luglio 1903, dopo ben 25 anni e 150 giorni di papato. La Chiesa cattolica era ancora stordita dall’aver perso il potere temporale con l’Unità d’Italia. Pio IX non era riuscito a prendere le misure alla nuova era che nel frattempo si dischiudeva. Leone XIII ereditava una Chiesa molto spaesata e alla ricerca di una sua profonda rigenerazione, diremmo con il linguaggio di oggi. Secoli e secoli di abitudini, di comportamenti, di modelli di gestione, di intrighi e ossessioni verso il “dio potere” venivano meno. In molti, al suo interno, a tutti i livelli, si chiedevano: cosa fare, come procedere, da dove ripartire?

Cara Silvia, allora le strade possibili erano principalmente due:

  • La prima: chiudersi a riccio, sbarrando le porte alla modernità che avanzava, per concentrarsi prioritariamente su una visione dogmatica e autoreferenziale, con il principale obiettivo di recuperare il potere temporale e la cristianità perduta. L’idea nella parte più curiale e tradizionale della Chiesa come “società perfetta” si poneva in contrasto frontale con le altre società, a partire dagli Stati laici.
  • La seconda: mettersi in gioco, aprirsi al mondo e iniziare un nuovo e inedito cammino, per immergersi nelle contraddizioni e nelle speranze di quel tempo, con l’elaborazione di una sistematica dottrina sociale. Iniziava soprattutto dal basso ad intravedersi l’impostazione di una Chiesa da considerare “popolo di Dio” in cammino nella storia, in un atteggiamento spirituale e fraterno di condivisione e di servizio al prossimo.

Prevalse, non senza ambiguità, contraddizioni e difficoltà, la seconda opzione. Ma attenzione, il mondo, allora era nel frattempo attraversato dalla controversa e drammatica prima rivoluzione industriale, con le immaginabili conseguenze sul piano dello sfruttamento dell’essere umano, a cominciare dai bambini e più deboli. Anche per la società di quel tempo era pertanto centrale la questione sociale, al fine di garantire i livelli seppur minimi di tutela dei diritti umani e sociali.

L’enciclica “Rerum Novarum” presentò pertanto il sociale come il luogo privilegiato per fare rinascere la Chiesa, avviando una nuova stagione sia pastorale che teologica.

Se poi riflettiamo un po’ sui convulsi anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, ci rendiamo conto che la Chiesa affrontò il periodo delle grandi speranze e della contestazione giovanile, riproponendo sempre la “questione sociale” nel rapporto Chiesa-mondo, tanto da saper cogliere il collegamento vitale tra la promozione umana e l’evangelizzazione. Intorno a tale binomio, fiorì “la scelta degli ultimi”, maturarono tanti gruppi di volontariato e prese vita la stessa Caritas moderna. Si creò così un movimento di rinnovamento della Chiesa e del suo annuncio di fede e, politicamente, si spinse molto per avviare un avanzato sistema di welfare e una nuova stagione di cambiamento.

Sì, Silvia, ora torniamo ai nostri tempi, altrettanto tumultuosi tanto da caratterizzarsi come un vero e proprio passaggio d’epoca. La stessa dicotomia si è presentata di fronte alla Chiesa, esposta a scandali terrificanti, e ad un processo di secolarizzazione che ha eroso il senso comune del pensare, dire e vivere la fede.

La Chiesa di Papa Ratzinger, di fronte a una crisi per alcuni versi senza precedenti, ha pensato di dare vita ad una cura radicale, ma dando attenzione alla sua dimensione più tradizionale e dogmatica, ritenendo prioritario assegnare peso e centralità alla propria identità interna. Ma lo stesso Papa Benedetto si è man mano accorto che in questo modo i mali interni si aggravavano, piuttosto che essere eliminati, e la crisi religiosa non si arrestava, anzi cresceva. Tutto lascia pensare che si sia reso conto che i problemi della curia vaticana e della Chiesa sparsa nei vari continenti e il rilancio della dimensione di fede avevano bisogno di tutt’altra terapia.

Con un coraggio straordinario e una spiritualità di questi tempi sorprendente, Benedetto XVI non solo ha fatto un clamoroso passo indietro ma ha lasciato spazio a un’altra cura della Chiesa, quella che si realizza con l’apertura al mondo, facendo proprie le ansie e le speranze delle donne e degli uomini del nostro tempo, come è stato indicato dall’innovativo a dir poco e ancora purtroppo moderatamente attuato Concilio Vaticano II.

Con Papa Francesco, la Chiesa ha intuito bene che proprio nel sociale si vive la rigenerazione di una comunità sull’orlo di una crisi spirituale e di credibilità esiziale. Papa Bergoglio ha così gettato le basi per riprendere, con le stupende encicliche “Laudato si’” e “Fratelli tutti”, un percorso di apertura al mondo, seppur critica ed esigente, nel solco evangelico della promozione umana e ambientale come la via più autentica dell’annuncio del Vangelo.

Cara Silvia, con Leone XIV, il sociale è addirittura consacrato nel nome del Pontefice e indica nella sequela a Cristo, a partire dalla giustizia per i poveri, dall’impegno per la pace, per la salvaguardia del Creato, le opzioni principali sui cui rigenerare la fede, in modo da predisporsi ad affrontare quella che si avvia ad essere la sfida delle sfide del nostro tempo, quella dell’intelligenza artificiale.

Sì, Silvia, il mondo è anch’esso alla ricerca di nuovi modelli relazionali, di coesistenza, di amore, solidarietà e condivisione. Allora, nel dialogo serrato e nell’ascolto reciproco tra Chiesa e mondo, potranno nascere i nuovi modi di pensare, dire e vivere Dio e di dare all’umanità e all’ecosistema una possibilità di rigenerarsi, invece di eclissarsi.

Ecco perché la questione sociale è di stretta attualità e indica uno spazio vitale di rigenerazione, un metodo dialogico e un impegno di prossimità anche per tutti i soggetti collettivi che intendono trasformare la società nella direzione del promuovere bene comune e nuove forme democratiche di governance della globalizzazione, senza ritornare ai chiusi, inconcludenti e conflittuali sistemi nazionali o neo imperialisti.

Insomma, cara Silvia, la “questione sociale” ritorna dall’esilio in cui, soprattutto nelle decotte e opulente società occidentali, era stata allontanata per diventare una opportunità di liberazione, di relazionesimo e di fraternariato a cui l’umanità tutta deve aspirare.